Traduzione di U2place dell’intervista a Rollingstone: articolo originale.
Puoi fornirmi alcuni retroscena sulla nascita di questo tour?
Bene, quando abbiamo terminato il vecchio tour, il tour indoor Innocence and Experience, ci siamo concentrati per terminare il secondo album del set, Songs of Experience, che era quasi del tutto completato dopo un paio di settimane di ritocchi finali che ci hanno portato alla fine dell’anno. Poi ci sono state le elezioni e improvvisamente il mondo è cambiato. Ci siamo detti “Un attimo – dobbiamo darci un momento per riflettere su questo disco e su come si collega a quello che sta succedendo nel mondo”. Questo perchè è stato scritto quasi del tutto, per intendersi, l’80% è stato iniziato prima del 2016, ma la maggior parte del disco è stato scritto nella prima parte del 2016 e ora, penso tu sia d’accordo, il mondo è un luogo diverso.”
Parli dell’elezione di Trump e della Brexit?
L’elezione di Trump. E’ come se un pendolo avesse iniziato improvvisamente a oscillare con forza nella direzione opposta. Stavamo pensando all’anniversario di The Joshua Tree, e un’altra cosa ha preso piede dentro di noi, cosa abbastanza strana, come se si chiudesse un cerchio. Quel disco è stato scritto a metà anni ‘80, nell’era di Reagan e Thatcher della politica statunitense e britannica. Un periodo molto agitato. La Thatcher cercava di sedare lo sciopero dei minatori; c’era ogni tipo di attività illegale in America centrale. Sembra di essere tornati a quel punto. Penso che nessun nostro lavoro finora abbia mai chiuso il cerchio in egual misura. Sembrava come se “Wow, queste canzoni hanno un nuovo significato e una nuova risonanza oggi che non avevano tre o quattro anni fa.” E così abbiamo realizzato per caso che avevamo bisogno di fermarci un momento per riflettere ancora prima di far uscire l’album, proprio per essere sicuri che fosse quello che volevamo dire.”
Così ci siamo detti “Sentite, facciamo entrambe le cose. Possiamo davvero celebrare questo album, che è davvero rinato in questo contesto, e possiamo davvero avere anche l’opportunità di pensare a queste canzoni in modo da assicurarci che siano davvero quello che vogliamo far uscire”. Così i due aspetti hanno coinciso e abbiamo deciso che avremmo fatto alcuni concerti. Non abbiamo mai celebrato il nostro passato perchè siamo sempre stati una band che guarda avanti, ma sentiamo che questo è un momento speciale, e questo è un disco veramente speciale. Quindi siamo felici di prenderci il tempo per riorganizzarci e pensare a un disco così vecchio, ma che risulta ancora così attuale.
Avete intenzione di suonare tutto l’album in sequenza ai concerti?
Credo di sì, e dico “credo di sì” perchè al momento stiamo lavorando su questo presupposto. Il concerto non necessariamente dovrà iniziare con la traccia 1 del lato A “Where the streets have no name”, perchè magari avremo il bisogno di costruire quel momento dello show, ma stiamo proprio lavorando all’ordine delle canzoni. Quindi sì: suoneremo l’album in sequenza.
I fan saranno davvero emozionati. Ci sono molte canzoni che non suonate da decenni. Poi c’è “Red Hill Mining Town” che non avete mai suonato.
E’ vero. Ho passato un paio di giorni alla fine della sessione in studio, in cui ho ascoltato quella canzone, lavorando alla parte della chitarra, a cui non avevo pensato per tanti anni. Quel brano è in qualche modo, esattamente quello che sta succedendo in UK. C’è una specie di rivolta industriale in tutta la Gran Bretagna per la prima volta da generazioni. Non è esattamente la ripetizione de “L’Inverno del nostro scontento” ma queste problematiche stanno tornando con forza. La politica sembra polarizzata in così tante parti del mondo in via di sviluppo, a livelli che considero preoccupanti. Quei giorni erano difficili, tempi bui, e personalmente non vorrei rivederli.
Perchè questa è l’unica canzone dell’album che non avete mai suonato dal vivo? E’ difficile da suonare o per Bono da cantare?
Penso che sia una di quelle canzoni che, probabilmente per via del tempo e dell’arrangiamento, non ha mai trovato un posto all’interno della scaletta. E’ buffo, a volte le grandi canzoni… Pensa a un concerto come a un ecosistema. Hai nicchie da riempire. Ci sono canzoni uptempo, veloci, spettacolari e queste sono cruciali. Poi ci sono una specie di canzoni meno veloci e, non importa quanto grandi siano, a volte non riesci a trovare un posto per loro. Non penso ci sia qualcosa di più complicato di questo. Ma riascoltandola è stato come… “Wow, questa è… sono davvero…”
Potresti non saperlo, ma pochi giorni prima di chiudere l’album. “Red Hill Mining Town” era la canzone candidata a essere il nostro primo singolo. Andando avanti, abbiamo fatto un video con Neil Jordan ed eravamo abbastanza convinti. Poi con il passare delle settimane, abbiamo ripensato alla questione e le cose hanno preso una piega diversa e il primo singolo divenne “With or without you”. Penso sia stato giusto così.
Poi ci sono “Exit” e “Trip through your wires” che non suonate dagli anni ‘80. E “In God’s country”, che è stata suonata acustica solo una manciata di volte. Sarebbe meraviglioso sentirle ancora.
Sì. Sono tutte così diverse. E’ questo il punto di The Joshua Tree. E’ un tipo di album molto ampio, in stile “Cinemascope”. A quel tempo lo immaginavamo in termini cinematografici. Nel senso, molte delle fotografie dell’album, il taglio era cinematografico. Stavamo pensando alle canzoni da questo punto di vista. E anche l’ispirazione letteraria e i riferimenti [erano in quella chiave]. Difatti, il titolo originario di “Exit” era “Executioner’s Song” perchè traevamo spunto dalla letteratura per le canzoni, per poi condurre il nostro lavoro in direzioni leggermente diverse.
Stavamo sicuramente cadendo nelle braccia dell’America nel senso che, come band, il punk rock consisteva principlamente nella creazione di una forma unica di musica non ispirata o influenzata dalla musica americana. Se ascolti i nostri primi album, puoi sentire l’influenza di molta musica tedesca di quel periodo. Molte band britanniche ascoltavano la stessa musica. The Joshua Tree è stato il primo album in cui ci siamo consapevolemente detti “Ok, abbiamo fatto quattro album pensando a Europa e Irlanda, ma guardiamo alle radici di questo stile di cui facciamo inevitabilmente parte.” E quelle erano tutte americane.
Così guardammo alla [musica] americana, al blues, al Nuovo Giornalismo. Ricordo che io e Bono stavamo leggendo Flannery O’Connor e gli scrittori del sud. Fu un tentativo conscio di guardare aldilà dell’Atlantico e di iniziare a esplorare l’America. Voglio dire, per chi viene dall’Irlanda, l’America è la terra promessa, si tratta di una ricca fonte di idee e aspirazioni e ispirazioni e generazioni. Indagavamo questi aspetti, ma [cercavamo di capire] anche cos’era davvero l’America. Lessi dei fratelli di Soledad, delle Black Panthers. Stavamo esplorando l’America da tutte le angolazioni. Era l’epoca di Reagan quando, in un certo senso, la visione di cosa l’America poteva essere sembrava minacciata. L’America di Thomas Jefferson, l’America di John F. Kennedy, visionari che parlavano degli ideali di ciò che l’America può essere. Eravamo alle prese con queste grandi idee e ora ci siamo di nuovo. E’ pazzesco.
Che canzoni farete nelle parti dello show non riservate a The Joshua Tree?
Ovviamente ogni volta che suoniamo dal vivo, cerchiamo di stabilire un filo logico, un nucleo cinematografico cui attenerci. E siamo in un certo senso disperati e fortunati che nel mucchio ci sia molto cui attingere. Essendo in una fase quasi embrionale del processo, è difficile per me dirti esattamente cosa cerchiamo effettivamente di fare. Ma devo dire che tutte le vecchie canzoni saranno prese in considerazione e che quello che finiremo per suonare sarà coerente con il tema centrale. Sai, saremo in America. Faremo concerti anche in Europa, ma certamente gli show americani, non ho dubbi, saranno incentrati sul mito dell’America di cui scrivevamo in The Joshua Tree.
Pensi suonerete qualcuna delle B sides dell’album come “Wave of Sorrow” o “Luminous Times”?
Abbiamo fatto alcune B sides nei nostri show in passato, ed è in qualche modo difficile per una canzone trovare spazio nella scaletta perchè non si tratta della qualità della canzone in sé. Si tratta di quello che devi lasciare fuori per farle spazio. Siamo tanto ambiziosi da voler accontentare sempre quelli che noi chiamiamo “uber-fan”, che assistono a più concerti. Vogliono vedere qualcosa di nuovo che non hanno mai visto, qualcosa di unico e sconosciuto. E questo noi lo sappiamo. Cerchiamo in tutti i modi di renderlo possibile. Ma siamo anche coscienti che la maggior parte delle persone ci hanno visto una o al massimo due volte prima. C’è una lista molto lunga di pezzi classici che vogliono sentire. E’questo l’equilibrio [da trovare].
Spesso è davvero divertente ripescare qualcosa dal passato che non abbiamo suonato spesso e reinterpretarlo, quindi senza dubbio lo considereremo. Ma non penso che metteremo una grande enfasi sulle canzoni degli U2 sconosciute e poco ascoltate. Penso che ce ne saranno di sicuro alcune. Abbiamo citato “Exit”, “Trip trough your wires”, “In God’s Country” e “Red Hill Mining Town”. Voglio dire, queste sono quattro canzoni. “Red Hill Mining Town” non è mai stata suonata e le altre tre sono estremamente rare. Quindi, ecco. Non so. Non escluderei le B sides.
Penso che le due canzoni che i fan sognano di sentire sono “Acrobat” e “Drowning man”. Non sono mai state suonate dal vivo. C’è una possibilità che vengano finalmente suonate?
E’ davvero interessante. Non immaginavo che i fans fossero interessati in “Drowning man”. Voglio dire “Acrobat”, di sicuro, immagino. E’ stato uno dei pezzi più spettacolari di Achtung Baby. Ma questo è interessante. Ne prenderò nota. Vogliamo sempre ascoltare i nostri fan perchè nella nostra esperienza, gli appassionati di musica raramente sbagliano. C’è qualcosa in quello che dicono e così ne prendo atto. Non dico che sicuramente lo faremo, ma siamo in questa bellissima situazione in cui abbiamo ancora una tela bianca.
Penso che ai fan manchino anche i momenti del concerto in cui tu sei la voce solista, come in “Numb” e “Van Diemen’s Land”. Era sempre un momento culminante [“Edge” inteso letteramente]
Sì, sai… Canto molto come sai, quasi sempre come seconda voce. Ma è Bono in realtà quello che spesso mi spinge a cantare. Non mi dispiace essere la voce principale, ma il fatto è che abbiamo davvero un grande cantante nella band. Credo che non ci sia stata la giusta opportunità negli ultimi tour, ma non escluderei affatto la possibilità per il futuro.
Vedo che suonerete a Bonnaroo. Sarà divertente. Si tratta di un tipo di concerto molto diverso per voi.
Sì. Non abbiamo suonato a dei festival per diversi anni, ma avevamo partecipato a molti in precedenza, e li ricordo sempre con molto affetto per varie ragioni. Un festival ha un che di gladiatorio, nel senso positivo che ti tiene sempre sulle spine. C’è anche la possibilità di passare del tempo con i tuoi colleghi e di essere nello stesso contesto con altri artisti e altre band. Uno degli svantaggi di fare il tuo proprio show è quello di non avere molto spesso occasioni come queste. Abbiamo stretto molte amicizie agli inizi suonando con Simple Minds e Eurythmics e varie altre band. Per me è una parte importante, per questo non vedo l’ora.
Come sarà il palco in questi concerti Joshua Tree? Sarà del tutto come l’originale del 1987?
Non credo che vogliamo essere troppo sfarzosi, ma allo stesso tempo vogliamo riconoscere le idee estetiche che accompagnarono il disco. Non penso che andremo a esagerare, cercando di inventarci qualcosa di già inventato, ma riprenderemo sicuramente quelle idee estetiche e tenteremo di aggiornarle in qualche modo. Questo è il The Joshua Tree 2017. Non è The Joshua Tree 1986.
Eppure sono sicuro che la parola “nostalgia” sta per essere abusata in relazione a questo tour. Come ti senti a riguardo?
Beh, come detto, penso che quello che è importante per noi è che non si tratta davvero di nostalgia.C’è un elemento di nostalgia che non possiamo evitare, ma non è motivato da un desiderio di guardare indietro. E’ quasi come se con questo album si fosse chiuso un cerchio e fossimo di nuovo lì e allora. E’ come se l’album avesse di nuovo una rilevanza di cui siamo assolutamente consapevoli.
Il prossimo disco sarà Songs of Experience o è possibile che ci possa essere qualcosa di completamente diverso?
No, penso che sarà Songs of Experience. Quando dico che è quasi terminato, vogliamo sicuramente cogliere questa occasione di pensarci, essere sicuri che sia davvero quello che vogliamo far uscire visti i cambiamenti che ci sono stati nel mondo. E forse un po’ cambierà, ma volevamo assolutamente cogliere l’occasione di riconsiderare il tutto. E chi lo sa? Potremmo addirittura scrivere un paio di pezzi nuovi perchè ci troviamo davvero in questa situazione. Ci siamo dati un po’ di spazio per la creatività.
Pensi che quando il Joshua Tree tour terminerà, il tour Innocence and Experience ripartirà con lo stesso palco e tutto il resto come l’ultima volta?
Ci sembra che quel tour non sia ancora finito. Quindi, in questo momento, ci piacerebbe finire quel tour. Mi immagino che potrà essere con molti componenti di produzione simili. Ma non amo guardare troppo avanti nel futuro. Questa è la base di partenza in questo momento, ma le cose possono cambiare e nulla è scritto nella pietra. Ma ci piace l’idea che il tour e il progetto non siano completati. Sono ancora vivi nelle nostre menti dal punto di vista creativo.
Avete qualche idea su come sarà distribuito il prossimo album? C’è stata molta attenzione in merito alla distribuzione del precedente album.
Il mio piano sarebbe intrufolarci io e Bono nelle case di tutti per mettere un CD sotto il cuscino di ciascuno [ride]. Ma purtroppo questo non sembra ricevere il sostegno degli altri membri della band. Ma, no, ancora una volta, è molto interessante il modo in cui la distribuzione, la promozione e il marketing della musica hanno gettato nello scompiglio negli ultimi anni. Quelle che sei mesi fa sembravano le idee più all’avanguardia e innovative, non sembrano più nuove e rivoluzionarie. Inoltre sono conscio che le vendite di album in vinile stanno andando alle stelle. E’ assolutamente pazzesco. Questo ci dice molte cose sul significato che molte persone danno al manufatto, all’album in vinile, in contrapposizione al download digitale, al file. La gente, alla fine, ha un legame emotivo con un grande album e con l’artista.
Un file digitale è… Senti, la convenienza è meravigliosa. Se devo essere onesto, ho ancora la mia collezione di vinili, ma uso file digitali nel 90% dei casi. Ma non darei mai via i miei vinili. E quindi c’è bisogno di entrambi, e trovo in qualche modo rassicurante che mentre tutto è basato sulla convenienza, la gente ha ancora un profondo legame emotivo con il prodotto creativo che è un album. Quindi, chi lo sa? Stiamo ancora cercando di capire, come tutti gli altri.
Quello che trovo confortante è che la cultura e la musica siano ancora in prima linea. Le persone le apprezzano , si divertono e ricorrono ad esse per ogni tipo di ragione. Sono curioso di vedere se in questo nuovo mondo di post-verità, la musica si ricollegherà ai temi della protesta e dell’attivismo come avvenuto per molti anni ma non più negli ultimi tempi. Penso che questo aspetto sia sempre stato, per me, un parte cruciale di cosa mi attirava verso la musica ed il motivo per cui molti altri siano stati attirati da essa. Per cui, sento che questo è un momento in cui la musica potrebbe davvero passare attraverso un periodo di rinascita e io sono molto emozionato all’idea di vedere quello che i giovani nei loro garage in Nord America e in Europa scriveranno e pubblicheranno nei prossimi anni. Penso che sia il tempo di recuperare questo aspetto.
Ok, ultima domanda: Pensi che ci sarà un tour celebrativo di Achtung Baby nel 30° anniversario nel 2021?
[Ride] Nessun piano, ma mai dire mai.